Gli interessi archeologici del Santuario di Pierno, si accrescono, come anticipato nella pagina della storia del Santuario, a seguito dei lavori di ricostruzione resisi necessari dopo il sisma del 23 Novembre 1980.
Ho ritenuto pertanto fondamentale inserire su queste pagine una attenta relazione del Dott. Salvatore Pagliuca, responsabile dell'ufficio operativo di Muro Lucano della Soprintendenza ai Monumenti della Regione Basilicata, che ha curato l'esecuzione dei lavori stessi.
"I recenti lavori di restauro a seguito del terremoto del 1980 e lo studio approfondito dell'architettura della chiesa, coadiuvato dalle ricerche d'archivio, hanno sollecitato una indagine più attenta attraverso lo scavo archeologico.
Dietro invito dei colleghi della Soprintendenza ai Monumenti, l'Ufficio Operativo di Muro Lucano della Soprintendenza Archeologica avviava nell'estate del 1997 una campagna di scavi che si proponeva di portare alla luce l'impianto monastico chiarendone l'origine e le eventuali fasi costruttive.
I risultati preliminari sono molto promettenti e contribuiscono ad avere una prima conoscenza dell'edificio e a stabilire i primi nessi cronologici.
L'intervento, nella sua prima fase, ha interessato l'area occidentale e nordorientale della piazza moderna evidenziando gli strati di interramento più recenti che nell'area nordorientale in parte sono da addebitare a ragioni alluvionali che hanno interessato il sito anche nell'ultimo secolo (l'area è sottoposta al forte pendio della montagna e al dilavamento delle sue pendici) determinando una sensibile trasformazione del profilo altimetrico dell'area.
In realtà prima del suo abbandono, l'edificio monastico doveva svilupparsi su due differenti livelli di quota come ovvia soluzione architettonica all'orografia del sito; prova ne sono i fabbricati posti ad ovest dell'attuale piazza che rappresentano riattazioni moderne dell'ala occidentale della struttura antica, con un livello superiore legato alle funzioni abitative del complesso e uno inferiore aperto verso l'esterno con probabile funzione di magazzino. E proprio dal settore nordorientale dell'area interessata dalla campagna di scavo proviene una conferma a quanto supposto, con la scoperta di un piano pavimentale lastricato con basole regolari, contiguo a due muri delimitanti un grande ambiente voltato, di cui si è portato alla luce l'estradosso sottoposto al piano di calpestio del livello superiore. Quest'ultimo, sulla base dei dati di scavo preliminari, presenta un corridoio centrale (portico?) in asse con il quadriportico della chiesa e che viene definito da due muri paralleli di cui quello orientale potrebbe delimitare un ampio spazio scoperto con funzione di cortile/giardino.
Nella fascia occidentale dell'area interessata dallo scavo archeologico, si sono evidenziate, a nord, strutture relative ad un cortiletto basolato con accesso secondario meridionale e, a SudOvest un lungo ambiente rettangolare comunicante, attraverso una breve rampa di scale, con un piano intermedio pavimentato in cocciopesto.
Le strutture finora portate alla luce lasciano intravvedere almeno due fasi costruttive certe: una fase più antica (ma reperti ceramici ritrovati in strati di riempimento o inferiori non escludono una primissima fase coeva alla originaria chiesa), rapportabile cronologicamente al rifacimento del Sarolo, alla quale si possono ricondurre il lastricato orientale, la breve rampa occidentale e un grande focolare centrale; una fase cinquecentesca, coeva agli interventi operati sulla chiesa, che vede la costruzione del cortiletto basolato a NordOvest, il grande ambiente rettangolare sudoccidentale e il lungo corridoio NordEst-SudOvest che oblitera il focolare e un piano di calpestio legato all'intervento saroliano.
Pochi frammenti di ceramica di IV-III sec. a.C. ritrovati in livelli di riempimento ci fanno supporre, infine, una frequentazione del sito (o insediamento con analoghe funzioni sacre) in età ellenistica.
I resti dell'impianto monastico
L'Ufficio Operativo della Soprintendenza Archeologica di Muro Lucano, a seguito della richiesta di collaborazione da parte della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici, ha condotto, nel piazzale antistante il santuario, due prime campagne di scavo nell'estate del 1997 e nell'autunno del 1998. L'intervento intendeva portare alla luce i ruderi dell'impianto monastico cercando di chiarire, attraverso lo scavo stratigrafico, l'origine del complesso e le sue eventuali fasi costruttive. I risultati preliminari sono molto promettenti e contribuiscono a dare una prima informazione sull'edificio e a capirne l'evoluzione costruttiva.
Lo scavo archeologico, al momento, ha interessato 300 mq dell'attuale piazza raggiungendo nell'area nordorientale la profondita' di circa quattro metri.
I resti delle strutture finora portati alla luce (Ottobre 1999) ci mostrano come il complesso monastico si sviluppava su due livelli sfruttando al meglio l'orografia del sito caratterizzata da una media pendenza.
Il livello superiore, in quota con il piano della chiesa, si articolava intorno ad un ampio cortile centrale fiancheggiato sul lato nordoccidentale da un corridoio, con probabili funzioni di portico in asse con il quadriportico della chiesa e in aderenza all'ala settentrionale del monastero di cui si sono evidenziati i resti di un grande ambiente rettangolare da cui si accedeva, attraverso una breve scala, ad un piano intermedio. Più oltre si apriva un cortiletto pavimentato con basole di pietra locale.
Nella parte nordorientale dell'area interessata dallo scavo, invece, l'indagine archeologica ha riportato alla luce una scala in pietra, principale collegamento tra i due livelli del complesso, che scendeva fino ad un pianerottolo lastricato ed era delimitato da un muro che, nel livello inferiore, svolgeva funzioni di contenimento al terrapieno posto a ridosso; lo scavo del terrapieno ha, inoltre, restituito l'estradosso in malta di un ampio ambiente voltato inferiore.
Per completare il quadro descrittivo delle emergenze archeologiche va, infine, ricordato il ritrovamento, nell'area del cortile, di due sepolture a fossa semplice relative ad individui maschili, probabilmente monaci; una di esse può essere datata intorno alla fine del XIII secolo.
Le informazioni deducibili dai materiali restituiti dallo scavo stratigrafico, correlati allo studio delle strutture, ci indicano, fino a questo momento, quattro principali fasi del monastero di Pierno:
Una originaria, non ancora ben definita, ma alla quale possiamo rapportare le tracce di muri di fondazione evidenziate sotto il piano di calpestio del cortile che presuppongono, dunque, in origine una maggiore ampiezza dell'ala sudoccidentale (quella aderente alla chiesa). Allo stesso momento va ricondotta la ceramica acroma ritrovata negli strati di riempimento al di sotto del piano pavimentale del porticato. Questa prima fase e' quasi certamente coeva o immediatamente successiva alla prima costruzione della chiesa.
In eta' sveva, intorno al secondo quarto del XIII secolo, qualche decennio dopo l'intervento saroliano, il monastero assume il suo aspetto quasi definitivo con un ampliamento del suo sviluppo planimetrico e una grande vitalita', che si protrae almeno fino alla meta' del XV secolo, testimoniata dalla restituzione, negli strati relativi a questa fase, di molta ceramica invetriata e protomaiolica di ottima fattura associata ad emissioni monetali, soprattutto denari d'età sveva, angioina ed aragonese.
Dopo la metà del '500, parallelamente alle vicende edilizie della chiesa, la badia è interessata da ristrutturazioni che fanno seguito ad un periodo piuttosto lungo di silenzio, con scarne testimonianze archeologiche ed una pressocchè assenza di reperti monetali. A questa fase, al momento, si può legare la costruzione del porticato o una sua risistemazione e la realizzazione ex novo del cortiletto basolato nell'area settentrionale.
L'ultima fase è contraddistinta dalla presenza di consistenti crolli delle strutture, avvenuti in momenti successivi, (*) e da un graduale interramento degli edifici che, sulla base del dato archeologico, possiamo datare genericamente dal XVIII agli inizi del XX secolo."
(*) L'impoverimento e il degrado a cui fu soggetta la badia come testimoniato dalle scarne informazioni d'archivio, può aver avuto un fattore d'accelerazione nel devastante terremoto del 1694 al quale i crolli più consistenti e profondi possono essere legati.
Alcuni esemplari di monete rinvenute durante gli scavi archeologici di Pierno.
Da sinistra a destra e dall'alto in basso denari di:
Federico II;
Corradino di Svevia, Manfredi;
Carlo d'Angiò e quattrino di Papa Gregorio XIII.
(foto Pagliuca - Basilicata reg.).
Piatto in ceramica graffita con testa femminile, rinvenuto negli scavi di Pierno.
(foto Pagliuca - Basilicata reg.)